Le origini storiche del Third Party Litigation Funding

L’attuale locuzione third party litigation funding indica un fenomeno in crescente diffusione, specialmente nei Paesi di common law, nell’ambito delle controversie giuridiche. Esso consiste nella messa a disposizione da parte di un terzo, il cosiddetto funder, dei mezzi economici necessari a sostenere una lite giudiziaria, in cambio di una percentuale sull’ipotetico futuro esito vittorioso.

Eppure, la locuzione in lingua inglese non rende giustizia alle origini classiche delle attività di finanziamento del contenzioso. Infatti, la pratica per cui un soggetto, di fatto estraneo alla lite, si renda finanziatore di una controversia tra due parti in cambio di una provvigione trova origine già negli antichi processi civili greci e romani.

Già all’epoca, al fine di veder tutelate le proprie ragioni, occorreva farsi assistere da professionisti che svolgevano l’attività difensiva in giudizio, naturalmente a fronte del pagamento di una cospicua somma di denaro, che non tutti i comuni cittadini potevano permettersi. Di conseguenza, in Grecia come a Roma nacquero rispettivamente le figure dei cosiddetti sykophantes e dei calumniatores. Questi erano soggetti appartenenti alle classi sociali più agiate che, in cambio di una percentuale sull’esito della controversia, la facevano propria e anticipavano le spese necessarie ad andare in giudizio[1].

Tuttavia, occorre precisare che spesso i sykophantes e i calumniatores utilizzavano il finanziamento del contenzioso per fini strumentali ai propri interessi economici o politici: di qui, la riprovazione sociale nei confronti di tali soggetti e la conseguente adozione di normative dirette a impedirne o limitarne l’attività[2]. La loro cattiva reputazione si è protratta fino ai giorni nostri, tanto da associare la parola sicofante a sinonimo di spia, qualcuno che specula sugli illeciti o sulle liti altrui.

La prassi secondo cui un terzo fa valere un diritto altrui finanziandone il contenzioso allo scopo di ottenere una parte dell’eventuale esito vittorioso si è mantenuta fino al Medioevo. In particolare, nell’Inghilterra feudale si diffuse il famigerato fenomeno del champerty, ossia il contratto che, in caso di risultato positivo della causa finanziata, attribuiva al finanziatore la proprietà di una porzione del terreno controverso e al finanziato un diritto sostanzialmente analogo all’enfiteusi sulla medesima porzione[3]. Tale fenomeno si diffuse tanto più che i feudatari, progressivamente privati del potere militare e di imposizione fiscale, ricorrevano al champerty al fine di accrescere i propri possedimenti[4]. Parallelamente, si verificava il più generale fenomeno del cosiddetto maintenance, ossia il fatto di favorire altri soggetti nell’instaurazione di una lite.

Nel 1275 con la promulgazione del First Statute of Westminster da parte del re Edoardo I, entrambe le prassi furono dichiarate quali illeciti civili e penali. La portata di tali divieti fu poi ulteriormente ampliata durante l’epoca del colonialismo, quando fu sancita l’illiceità, anche fuori dai confini inglesi, di qualunque pratica consistente nel finanziamento di una lite da parte di un soggetto terzo.

Eppure, occorre sottolineare come la necessità di contrastare i fenomeni di finanziamento della lite, tradottasi nei descritti divieti, non fosse conseguenza dell’intrinseca natura riprovevole di tali condotte – invero assente -, quanto dell’effetto indesiderato che creavano, ossia una proliferazione di giudizi temerari, spesso infondati, intentati, oltretutto, da soggetti terzi che non avevano alcun interesse originario alla lite se non quello appunto di ottenere una percentuale condizionata al buon esito.

Intorno agli anni Novanta, è stata la presa di coscienza delle ragioni effettive che hanno portato a vietare i fenomeni di finanziamento del contenzioso che ha contribuito, in definitiva, alla loro decriminalizzazione. Così nacque il fenomeno moderno del third party litigation funding, diffuso dapprima in Australia[5] e poi progressivamente negli altri Paesi di common law.

Lungi dall’essere una pratica squisitamente speculativa – come forse accadeva nei tempi passati-, il third party litigation funding oggi rappresenta un importante strumento che rende possibile l’accesso alla giustizia anche per quei soggetti che altrimenti sarebbero privi dei mezzi economici necessari per sostenerne gli oneri. La storia recente ci insegna che il finanziamento del contenzioso è uno strumento che ha avuto un impatto molto positivo, in particolare durante i periodi di crisi economica. Ad esempio, il credit crunch seguito alla crisi del 2008 ha spinto molte società a trovare metodi alternativi di finanziamento dei contenziosi, in modo da preservare il proprio flusso di cassa al fine di poter agevolare la graduale ripresa. È proprio in questa circostanza che si è registrato un aumento esponenziale dei ricorsi al third party litigation funding[6].

Anche il generale aumento dei costi della giustizia, anche arbitrale, insieme al divieto fatto all’avvocato di anticipare le spese dei clienti hanno contribuito alla diffusione del third party litigation funding[7]. Inoltre, grazie all’adozione di recenti normative che introducono le cosiddette azioni di classe, oppure al crescente fenomeno del private antitrust enforcement, anche in Europa, molti Stati dell’Unione si pongono il problema di fornire degli incentivi economici ad iniziare azioni collettive, individuando nel third party litigation funding una valida risorsa al servizio delle società[8]. A tal proposito, il Parlamento europeo ha recentemente ribadito il valore aggiunto per le imprese europee generato da tale strumento, quantificato in 229 milioni di euro[9].

Con uno sguardo più domestico, si può affermare non soltanto che in Italia il fenomeno non è affatto praticato, ma anzi che gode di una certa diffidenza da parte dei tribunali. Per le ragioni sopra esposte, si deve ritenere che il third party litigation funding vada prima di tutto scagionato e successivamente fortemente incoraggiato in quanto esso, lungi dall’avere natura speculativa, costituisce un impareggiabile strumento di perequazione sociale, che rende possibile e agevole l’accesso alla giustizia per ogni cittadino e impresa, anche quelli che non potrebbero permettersi di sostenere i costi della lite nei vari gradi di giudizio o di subirne l’esito sfavorevole. Esso infatti, tra l’altro, consente il trasferimento sul funder del rischio dell’esito incerto necessariamente connesso ad ogni controversia, più generalmente garantisce dei costi della giustizia più ragionevoli e prevedibili e allo stesso tempo disincentiva le azioni infondate, posto che sono la meritevolezza e il fondamento del diritto che consentono di ottenere l’appoggio del funder. Insomma, al contrario di ciò che attualmente è il pensiero più diffuso, il ricorso a strumenti di finanziamento del contenzioso può rappresentare una preziosa opportunità, anche nell’ottica di maggior competitività con gli altri operatori nel mercato, per tutte le imprese italiane[10].

[1] Radin Max, Maintenance by Champerty, in California Law Rev., XXIV, 1, 6, p. 49.

[2] De Marini Avonzo Franca, I limiti alla disponibilità della ‘res litigiosa’ nel diritto romano, 1967.

[3] Castelli Luciano e Silvia Monti, Third Party Litigation Funding: quali prospettive in Italia?, in Contratti, 2019, 5, 580, p. 1.

[4] Si noti che il champerty trae la propria denominazione proprio dal diritto reale di godimento attribuito al finanziato, ossia il tenancy by champart.

[5] Corte Suprema Australiana, Campbells Cash and Carry Pty Limited v Fostif Pty Ltd (2006), 229, CLR, 386.

[6] Steinitz Maya, Whose Claim Is This Anyway? Third Party Litigation Funding in Minnesota Law Review, 95, 2010-2011, p. 1283.

[7] Shannon Victoria A., Harmonizing Third Party Litigation Funding Regulation, in Cardozo Law Review, 36,

2015, pp. 869 e ss.

[8] Rodger Barry, Competition Law: Comparative Private Enforcement and Collective Redress across the EU, Wolters Kluwer, 2014, p. 59.

[9] Parlamento europeo, “Responsible private funding of litigation: European added value assessment”, marzo 2021.

[10] Parisi Giacinto, Trial as an investment: litigation funding compatible with the Italian civil procedural law system?, Roma Tre Press, 2019.