Gli ordinamenti europeo ed italiano conoscono due modalità di enforcement, ovvero il public ed il private enforcement.
Obiettivo del presente documento è quello di approfondire la tematica del private enforcement non senza aver prima chiarito in che rapporto questo si ponga rispetto al public enforcement.
Entrambe le riferite modalità di enforcement condividono il medesimo presupposto, ovvero l’esigenza di tutelare la libera concorrenza e il libero mercato.
Pertanto, seppur in vario modo, i due strumenti contribuiscono al perseguimento dell’unico fine di contrastare le condotte anticoncorrenziali.
Il public enforcement tutela l’interesse pubblicistico al rispetto della concorrenza ed è affidato alla competenza della Commissione Europea e delle Autorità Garanti della Concorrenza e del Mercato nazionali. Il private enforcement, rimesso alle sezioni specializzate dei Tribunali nazionali, è pensato, invece, per tutelare specifiche situazioni giuridiche soggettive.
Trattasi di due modalità complementari l’una all’altra e, perciò, entrambe indispensabili per il perseguimento dello scopo comune di applicazione effettiva del diritto alla concorrenza.
In Italia e più in generale in Europa, guardando indietro negli anni, era possibile notare una netta prevalenza del public sul private enforcement. È senz’altro corretto affermare che, in un primo momento, il private enforcement vivesse all’ombra del public enforcement. Oggi, tuttavia, acquisita la consapevolezza dello squilibrio e, ancor più, della necessarietà del private enforcement per produrre l’auspicato effetto deterrenza, la tendenza è profondamente mutata.
Nell’anno 2001, con la sentenza Courage – Crehan, la Corte di Giustizia, valorizzando l’interesse privatistico leso per effetto delle condotte anticoncorrenziali, per la prima volta affermava il principio per cui chiunque ha diritto ad essere risarcito del danno causato dalla violazione delle norme sulla libera concorrenza[1]. Successivamente ancora, con la sentenza del 13 luglio 2006 conclusiva del caso Manfredi – Lloyd Adriatico Assicurazioni, la Corte di Giustizia stabiliva la risarcibilità del lucro cessante oltre che del danno emergente[2].
Nel 2003, con il Regolamento n. 1, l’Unione Europea ha distinto le azioni follow on e quelle stand alone. Le prime, come suggerisce il nome, seguono, ovvero presuppongono e si fondano su una condotta anticoncorrenziale già accertata. Al contrario, con le azioni stand alone si portano all’attenzione dei giudici civili contestazioni in merito a illeciti antitrust sui quali manchi l’accertamento della violazione a livello pubblicistico. L’esistenza delle azioni stand alone amplia i margini di tutela potenzialmente offerta ai danneggiati, muovendo un ulteriore passo verso l’obiettivo di rendere effettiva l’applicazione del diritto alla concorrenza. Si noti, infatti, che nell’ambito del diritto antitrust manca l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione tipica del sistema penale, conseguentemente, può darsi il caso che l’autorità pubblica decida di non intervenire, per ragioni quali la fissazione di priorità ovvero la preferenza di alcuni settori rispetto ad altri. L’azione stand alone, indipendente dalle determinazioni delle autorità pubbliche, consente pertanto di dar luce e offrire tutela a situazioni che altrimenti ne sarebbero prive.
Negli anni 2005 e 2008, la Commissione Europea ha pubblicato, rispettivamente, i Libri Verde e Bianco, aventi ad oggetto le “azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie”[3], dando così avvio alle consultazioni che si sarebbero concluse con l’elaborazione della Direttiva UE 2014/104, cd. Direttiva Danni.
Il Libro Bianco, in primo luogo, ribadiva come tutti i cittadini e tutte le imprese che subiscono un danno a seguito di un’infrazione delle norme antitrust comunitarie devono poter richiedere un risarcimento alla parte che avesse causato il danno. Richiamando le sopra citate sentenze della Corte di Giustizia del 2001 e del 2006, la Commissione sottolineava come il diritto delle vittime al risarcimento del danno fosse garantito dal diritto comunitario e come cionondimeno, queste ottenessero solo sporadicamente il risarcimento. L’entità dei risarcimenti di cui i danneggiati ogni anno erano privati, specificava la Commissione, era nell’ordine di diversi miliardi di euro l’anno.
Deducendone, senza timore di smentita, l’inefficacia delle azioni disponibili, il Libro Bianco proponeva l’individuazione di misure combinate, comunitarie e nazionali, che consentissero a tutte le vittime di violazioni delle norme comunitarie sulla concorrenza di accedere a meccanismi di tutela efficaci che garantissero la compensazione integrale del danno subito. Il risarcimento completo veniva sancito all’interno del Libro Bianco quale primo e più importante principio guida per l’individuazione delle riferite misure combinate[4].
La pubblicazione della Direttiva UE 2014/104, che oggi costituisce il riferimento per la regolamentazione delle azioni antitrust, rappresenta il punto di arrivo di un percorso iniziato molto tempo prima, un importante traguardo che l’allora in carica Commissario europeo per la concorrenza Joaquin Alumnia definì “la più importante iniziativa legale […] avviata durante la [sua] carica”.
La Direttiva, invero, attenua l’onere probatorio che grava sul soggetto leso dall’illecito antitrust, introduce dei meccanismi atti a facilitare l’ottenimento di informazioni e prove e stabilisce delle presunzioni legali in ottica di favor per il danneggiato.
Il recepimento della Direttiva, in Italia, è avvenuto nel gennaio 2017, con la promulgazione del d.lgs. n. 3. Questo, rispettando la linea tracciata dall’Unione Europea, contiene una disciplina di indiscusso favore per le vittime degli illeciti antitrust.
L’obiettivo che il legislatore italiano, sulla scorta delle indicazioni date da quello europeo, evidentemente mira a conseguire è quello di contrastare le così grandemente diffuse condotte anticoncorrenziali[5].
L’auspicio, manifestato anche dal Commissario Alumnia in occasione della pubblicazione della Direttiva, è quello di veder aumentare in misura consistente le azioni antitrust in tutti gli Stati membri e il loro accoglimento da parte dei giudici nazionali, sì da produrre un importante effetto deterrente nei confronti dei futuri potenziali trasgressori, al contempo garantendo alle vittime delle condotte anticoncorrenziali la giusta compensazione del danno subito.
Il sistema del private antitrust enforcement per come costruito dalla Direttiva UE 2014/104 e dal d.lgs. 21017/3 conferisce un rinnovato potere ai privati, sia aziende che consumatori, ai quali soltanto, ora, spetta pertanto di dare piena effettività ed efficacia al diritto antitrust facendo valere il proprio credito risarcitorio.
[1] Corte di Giustizia UE, sentenza del 20 settembre 2001, resa all’esito del procedimento C-453/99. In precedenza, il diritto ad essere risarciti era riconosciuto esclusivamente in capo a consumatori e terzi, ovvero soggetti neppure in principio avessero partecipato all’accordo illecito.
[2] Cause Riunite C-295−298/04, Manfredi, Racc. 2006.
[3] Libro Verde della Commissione Europea, titolato “Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie”, COM(2005) 672, 19.12.2005; Libro Bianco della Commissione Europea, anch’esso titolato “Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie”, COM(2008) 165, 02.04.2008.
[4] Il testo completo del Libro Bianco, in lingua italiana, menzionato nel testo è disponibile al link https://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/files_white_paper/whitepaper_it.pdf
[5] Tra il 2000 e il 2016 la media delle maxi-collusioni venute alla luce è di 75 l’anno, mai così alta in precedenza. Dal 1990 al 2016 sono state messe sotto indagine 1336 coalizioni, 953 delle quali sono state condannate, mentre 296 sono ancora in attesa di decisione finale. Il tasso di condanna orbita intorno al 96% dei casi intentati. The Private International Cartels (PIC) Data Set: Guide and Summary Statistics, 1990-July 2016 (Revised 2nd Edition)